Buoni pasto: cosa sono e come funzionano

I buoni pasto rappresentano senza alcun dubbio una grande opportunità nel panorama del welfare aziendale: offrono vantaggi sia per chi li eroga, sia per chi ne fruisce. Nello specifico, i buoni pasto non sono altro che ticket che le imprese distribuiscono ai propri collaboratori, per acquistare pranzi o generi alimentari. La loro versatilità è straordinaria: si possono utilizzare in un’ampia gamma di esercizi convenzionati, dai ristoranti ai bar, passando per supermercati e negozi di alimentari. Ma il loro valore non risiede nell’aspetto economico: i buoni pasto sono un gesto tangibile con cui le aziende si prendono cura del benessere dei propri dipendenti, garantiscono la possibilità di consumare un pasto adeguato durante la giornata lavorativa, con ripercussioni positive sulla salute, la soddisfazione e, perché no, sulla produttività del personale.  Per i reparti HR, ad esempio, questi ticket sono una vera e propria pepita d’oro nel pacchetto di benefit offerti. Possono fare la differenza nel coinvolgere e trattenere i talenti migliori, dimostrando quanto l’azienda sia attenta alle esigenze quotidiane del proprio staff: un dettaglio che non passa inosservato. Il quadro normativo dei buoni pasto in Italia In Italia esiste una normativa specifica che delinea caratteristiche e modalità d’uso.  Un aspetto cruciale della normativa è il trattamento fiscale. Ad oggi, i buoni pasto cartacei godono di esenzione fiscale fino a 4 euro al giorno, mentre per quelli elettronici il tetto si alza a 8 euro. Questo significa che, entro questi limiti, il valore dei buoni non si va a sommare al reddito imponibile del dipendente: un doppio vantaggio, sia per il lavoratore che per l’azienda. Attenzione però: i buoni pasto non sono parte della retribuzione. Cosa significa? Non influiscono sul calcolo del TFR e non sono soggetti a contributi previdenziali. Devono essere erogati in aggiunta allo stipendio, non in sostituzione. Importante anche sapere che: Vantaggi per le aziende Vantaggi per i dipendenti Come implementare un sistema di buoni pasto nella propria azienda L’implementazione di un sistema di buoni pasto non è una passeggiata. Per prima cosa è fondamentale partire dall’analisi delle esigenze e delle necessità dei propri dipendenti e dell’azienda. Concentrandosi su fattori come: il numero di dipendenti, la loro distribuzione geografica e le abitudini lavorative (es: smart working vs. lavoro in ufficio).  Successivamente è importante svolgere un lavoro di ricerca della società che emette buoni pasto maggiormente in linea con le suddette esigenze e allineata alle aspettative in termini di costi, rete di esercizi convenzionati, servizio clienti e soluzioni tecnologiche offerte.  Successivamente si procede con la definizione dell’importo del buono pasto, la comunicazione ai dipendenti e la formazione del team HR sulla gestione dei buoni pasto in termini di aspetti normativi e fiscali. Le ultime fasi sono il monitoraggio e la valutazione del sistema implementato: tenete d’occhio regolarmente il suo utilizzo e raccogliete feedback dai dipendenti per eventuali miglioramenti. Gestione digitale dei buoni pasto: soluzioni HR moderne Nell’era della digitalizzazione, la gestione dei buoni pasto sta vivendo una vera e propria rivoluzione: le soluzioni HR moderne offrono strumenti sempre più sofisticati per semplificare e ottimizzare questo processo. Ecco alcune delle attuali tendenze: I buoni pasto non sono solo un mezzo per comprare il pranzo. Sono un tassello fondamentale nella strategia di welfare aziendale, con un impatto notevole sul benessere dei dipendenti e sull’efficienza organizzativa. L’introduzione o l’ottimizzazione di un sistema di buoni pasto può portare a dipendenti più soddisfatti, work-life balance migliorato e cultura aziendale positiva: l’attenzione al benessere dei dipendenti si riflette in una cultura aziendale più inclusiva e attenta alle persone. In un mondo del lavoro in rapida evoluzione, questi strumenti, se gestiti con intelligenza e visione, possono fare la differenza nel creare ambienti di lavoro più sani, produttivi e soddisfacenti per tutti.

Quiet quitting: cos’è

Negli ultimi anni, il concetto di “quiet quitting” ha guadagnato attenzione nel mondo del lavoro. Questa pratica, che coinvolge i dipendenti che scelgono di non andare oltre le loro responsabilità minime, riflette una risposta alle crescenti pressioni lavorative e alla necessità di mantenere un equilibrio tra vita professionale e personale.  Mentre alcune persone vedono il quiet quitting come un modo per proteggere la propria salute mentale, altre lo interpretano come un sintomo di disconnessione e insoddisfazione sul posto di lavoro.  Ma in cosa consiste più nello specifico e quali sono le caratteristiche che rendono questo fenomeno sempre più un problema per dipendenti e aziende? Quiet quitting: definizione e significato Con l’espressione “quiet quitting”, traducibile in italiano come “dimissioni silenziose”, si intende un atteggiamento lavorativo in cui i dipendenti si limitano al lavoro minimo indispensabile richiesto dal loro ruolo, senza cercare di andare oltre le aspettative o impegnarsi in attività extra, funzionali al miglioramento dell’azienda.  Questo fenomeno è spesso una risposta a condizioni lavorative stressanti, mancanza di riconoscimento, e squilibrio tra vita lavorativa e personale.  Quiet quitting: caratteristiche e come funziona Il fenomeno del quiet quitting si manifesta in diverse forme. Come anticipato, i dipendenti che lo praticano tendono a fare il minimo indispensabile, rifiutando incarichi supplementari, evitando riunioni non necessarie e limitando le comunicazioni al di fuori dell’orario di lavoro. Senza cercare avanzamenti di carriera o riconoscimenti, le persone che lo adottano si dedicano esclusivamente al soddisfacimento delle loro responsabilità di base. Diversi sono i segnali che rendono evidente la presenza di questo fenomeno, come la partecipazione passiva al lavoro, il disimpegno cronico, l’isolamento dagli altri membri del team e l’aumento del carico di lavoro degli altri membri del team. Le cause di questo comportamento sono numerose, ma possono essere raggruppate in tre categorie principali: Per i datori di lavoro il quiet quitting presenta un duplice problema. Da un lato, la produttività complessiva dell’azienda ne risente, poiché la minor motivazione dei dipendenti allunga i tempi di completamento dei progetti, aumentando i costi e complicando la pianificazione.  Dall’altro, sul piano umano, il quiet quitting incide inevitabilmente sul morale generale. In un contesto in cui molti dipendenti adottano questa pratica, è probabile che altri seguano il loro esempio, creando, di fatto, un ambiente di lavoro poco piacevole. Quiet quitting: come evitarlo da parte delle aziende In relazione al quiet quitting, la riduzione della produttività e della motivazione da parte dei dipendenti può influire negativamente sui progetti aziendali, ma spesso non al punto da giustificare il licenziamento, in quanto i compiti minimi vengono comunque svolti.  Dunque come può un’azienda prevenire questo fenomeno tra i suoi lavoratori? Una soluzione sempre più adottata è lo smart working, che consente ai dipendenti di svolgere il proprio lavoro in modo flessibile e da remoto, mantenendoli attivamente impegnati e coinvolti nelle proprie attività lavorative. Tuttavia, lo smart working non è sempre applicabile, specialmente in contesti che richiedono la presenza fisica.  Per questo motivo, le aziende necessitano l’implementazione di altre strategie che supportino e motivino i dipendenti nelle loro attività lavorative.  Le strategie aziendali più efficaci includono tre elementi chiave: Se sei un’azienda che desidera evitare l’emergere del quiet quitting, considera di implementare questi elementi per promuovere una maggiore collaborazione, una chiara definizione dei ruoli e una formazione efficace.  Creare un contesto lavorativo ottimale, dove tutti si sentono valorizzati, non solo migliora la produttività aziendale, ma rappresenta un vantaggio concreto per la gestione delle risorse umane e favorisce il benessere personale dei dipendenti.

Che cos’è e a cosa serve la Certificazione Unica

In Italia, la Certificazione Unica (CU) rappresenta un elemento cruciale sia per i datori di lavoro che per i contribuenti, con la quale vengono certificati i redditi da lavoro dipendente e alcune categorie di lavoro assimilato al lavoro dipendente.  Conosciuta in passato come modello CUD, questa dichiarazione con gli anni ha subito diversi importanti cambiamenti per facilitare la gestione delle informazioni di natura fiscale.  La lettura dei paragrafi seguenti aiuterà a capire nel dettaglio cos’è, a cosa serve e perché è così importante la Certificazione Unica per i datori di lavoro e per i contribuenti. Certificazione Unica: cos’è In ambito fiscale, la Certificazione Unica costituisce uno degli adempimenti più importanti in capo ai datori di lavoro o agli enti pensionistici, mentre per i pensionati e i lavoratori rappresenta la fonte principale per la presentazione della dichiarazione dei redditi annuale. La competenza dell’emissione e della trasmissione della Certificazione Unica spetta ai soggetti che hanno effettuato i pagamenti: datori di lavoro (sostituti d’imposta) per i lavoratori dipendenti e INPS per i pensionati. Il modello CU va inviato all’Agenzia delle Entrate esclusivamente in modalità telematica e consegnato ai lavoratori, entro i termini previsti, per attestare i redditi da lavoro dipendente assimilati e corrisposti dai datori di lavoro durante il periodo d’imposta di riferimento. Rispetto al vecchio modello CUD, la Certificazione Unica include una gamma più ampia di compensi e redditi, facilitando la dichiarazione dei redditi e ottimizzando la gestione delle informazioni fiscali. Certificazione Unica: a cosa serve La Certificazione Unica ricopre quindi un ruolo determinante ai fini fiscali, attestando una fotografia completa dei redditi percepiti dai lavoratori nel periodo d’imposta di riferimento.  Questo strumento, non solo certifica i redditi da lavoro dipendente, ma anche i compensi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative, redditi diversi e redditi di capitale. Il fine primario del modello CU è dotare i contribuenti di un quadro completo dei loro guadagni percepiti nel periodo d’imposta di riferimento: per i lavoratori dipendenti è particolarmente importante perché le relative informazioni sono essenziali per compilare il modello 730, utile per il calcolo dei redditi complessivi e indispensabile per determinare le imposte dovute. Ogni anno, per legge, i sostituti d’imposta devono rilasciare la Certificazione Unica a coloro che hanno percepito redditi: come anticipato, i datori di lavoro consegnano il modello CU ai propri dipendenti, mentre l’INPS lo consegna ai pensionati e a tutti i titolari di prestazioni (esempio: NASPI). La mancata consegna della CU a un lavoratore dipendente costituisce una grave violazione e impedisce all’interessato di presentare correttamente la dichiarazione dei redditi. Competenza alla compilazione e al rilascio La competenza della compilazione della Certificazione Unica spetta ai sostituti d’imposta: datori di lavoro o enti pagatori. Tali soggetti hanno l’obbligo di fornire la Certificazione Unica ai percettori di redditi soggetti a tassazione.  Entro la scadenza annuale stabilita per legge, i lavoratori dipendenti riceveranno quindi la CU dai loro datori di lavoro. Parimenti, entro lo stesso termine, l’INPS renderà disponibile la Certificazione Unica per i pensionati, i beneficiari della cassa integrazione e della NASPI.  Nel caso in cui un contribuente riscontri che le informazioni riportate nella CU non siano esatte, è tenuto a darne immediata comunicazione al proprio datore di lavoro per la relativa correzione all’Agenzia delle Entrate. Questo è un passaggio fondamentale per non correre il serio rischio di compromettere la correttezza della dichiarazione dei redditi. Certificazione Unica: informazioni contenute La Certificazione Unica riporta delle precise notizie, tra le quali il reddito complessivo dei contribuenti, le ritenute applicate, i contributi previdenziali versati e altri dati utili per determinare il reddito fiscale. Nella prima sezione della certificazione sono indicati i dati anagrafici del contribuente, mentre nella seconda sono riportate le informazioni fiscali (redditi erogati, detrazioni). Più nello specifico, la compilazione della Certificazione Unica presuppone la corretta raccolta di tutte le notizie legate ai redditi percepiti dagli interessati: Una volta completata la Certificazione Unica con l’indicazione di ogni dato richiesto, i sostituti d’imposta hanno l’obbligo di consegnarla, entro il termine annuale previsto, a ciascun lavoratore dipendente. La CU può essere consegnata ai dipendenti sia in modalità telematica che in modalità cartacea. Il rispetto della consegna entro la scadenza stabilita è un aspetto cruciale, in quanto permette al contribuente di disporre tempestivamente dei documenti utili per la dichiarazione dei redditi e non incorrere in ritardi ed eventuali pesanti sanzioni. In conclusione, la Certificazione Unica non è solo un obbligo burocratico, ma un pilastro del sistema fiscale che garantisce trasparenza, efficienza e conformità alle normative vigenti, contribuendo a un rapporto più chiaro e corretto tra contribuenti e amministrazione fiscale.

Localizzazione GPS dipendenti: soluzioni e accortezze

La gestione aziendale non è sicuramente semplice, soprattutto quando i dipendenti sono tanti e lavorano sia in sede che in mobilità. Affinché tu possa pianificare spese e processi aziendali è indispensabile munirti di tecnologie avanzate capaci di ottimizzare le attività fuori e dentro dal contesto puramente lavorativo.  Tra le soluzioni più interessanti che stanno rivoluzionando il modo di gestire i dipendenti c’è la localizzazione GPS.  Di cosa si tratta e quali accorgimenti considerare per non incorrere in problemi legali? L’importanza della localizzazione dei dipendenti Se sei un professionista con più di qualche dipendente da gestire, allora i motivi che potrebbero spingerti a implementare un sistema di localizzazione della posizione dei lavoratori sono diversi. Uno strumento di questo tipo consente, ad azienda e dipendenti stessi, di organizzare meglio gli spostamenti e le attività lavorative. Tra i motivi che spingono maggiormente le società ad affidarsi alla localizzazione GPS dei dipendenti c’è la trasparenza, infatti, grazie al monitoraggio dello spostamento si possono contrastare l’assenteismo e i comportamenti non consoni alle normali attività giornaliere.  A ciò si lega anche la sicurezza. Infatti, se i tuoi dipendenti si spostassero in aree lontane dal percorso più consono per recarsi a lavoro, potresti intervenire tempestivamente.  Tante aziende si affidano alla localizzazione GPS anche per ottimizzare i turni di lavoro, che spesso sono un problema significativo quando si hanno più dipendenti. Localizzazione GPS dipendenti: funzionamento Quando parliamo di localizzazione GPS dei dipendenti ci riferiamo a quella soluzione che, in ambito dei sistemi di rilevamento delle presenze, consente di determinare con estrema precisione la posizione del dipendente sfruttando la tecnologia Global Positioning System (GPS). Usualmente tale strumento è indispensabile per le aziende che necessitano di forza lavoro in remoto e vogliono migliorare la produttività, gestendo al meglio incontri con i clienti, interventi di manutenzione, consegne e tutto ciò che necessitano gli spostamenti fuori dalla sede principale. Affinché si possano monitorare gli spostamenti, il dipendente deve installare un’applicazione dedicata sul proprio dispositivo mobile che terrà conto di: orari di inizio/fine lavoro e movimenti durante le ore di lavoro sottoscritte nel contratto. Grazie a tale soluzione non si rilevano solo le presenze in azienda, ma si possono analizzare anche i dati su dove si trova precisamente il dipendente, richiamandolo nel caso in cui non stesse rispettando la pianificazione giornaliera assegnata. I benefici della localizzazione Quando scegli di implementare un sistema GPS per il monitoraggio dei dipendenti puoi beneficiare di diverse caratteristiche interessanti, sia se dovessi essere un lavoratore sia l’amministratore di un’azienda. Relativamente ai dipendenti, la localizzazione è un vantaggio poiché ti permette di provare che eri effettivamente nel luogo desiderato a una determinata ora, valutando di fatto il tuo modus operandi corretto. Ad esempio, se sei un dipendente diligente che si impegna ogni giorno per aiutare aziende e clientela, allora la localizzazione diventa uno strumento che può aiutarti molto quando hai bisogno di prove concrete sulla tua posizione e sull’orario. Se invece hai un’azienda, i benefici sono molti di più ed è interessante analizzarli singolarmente per avere un’idea più chiara delle potenzialità di questa tecnologia. Uno dei vantaggi principali di tale sistema è da ricercare nella maggiore sicurezza che le aziende possono ottenere durante il giorno. Un esempio concreto è relativo agli autisti o ai dipendenti che svolgono determinate attività attraverso l’utilizzo di più veicoli, cui si lega una maggiore possibilità di incidenti. Monitorando la posizione si hanno più informazioni riguardo i movimenti dei veicoli, garantendo all’azienda una gestione ideale dei lavoratori se non dovessero rispettare le direttive indicate. Anche gli spostamenti su strada, sia sulle lunghe che brevi percorrenze, inevitabilmente possono presentare imprevisti ed è opportuno che si possa intervenire tempestivamente. L’accuratezza della localizzazione induce gli autisti a guidare con maggiore attenzione e a rispettare la tabella di marcia prefissata, svincolandosi da possibili incidenti stradali. Le aziende sfruttano la localizzazione delle loro flotte anche per analizzare in modo chiaro l’utilizzo dei veicoli; infatti, oltre alla semplice mappatura degli spostamenti, si possono identificare anche i consumi e come si sta utilizzano il mezzo di trasporto assegnato. Monitorando il consumo del carburante di tutti i veicoli a disposizione, è possibili verificare, oltre che la distanza percorsa e gli eccessi di velocità, l’efficienza dei tuoi autisti e identificare quelli più bravi. I benefici dell’uso del GPS non sono legati solo alla sicurezza e ai consumi, ma si estendono anche alla vera e propria gestione del lavoro. Poichè tale strumento è particolarmente efficace nella pianificazione degli itinerari, permette di adeguare gli appuntamenti alle differenti esigenze oppure stabilire percorsi e orari a seconda delle necessità dei clienti. In tal senso, una pianificazione ottimale delle attività permette di riscontrare un minore impegno amministrativo, in quanto non sarà necessario compilare manualmente il registro di bordo. Infine, così come per i dipendenti la localizzazione GPS è utile per dimostrare che stanno effettuando il lavoro nel luogo e negli orari prefissati, anche le aziende possono usufruire di tale vantaggio. Infatti, grazie a questa tecnologia le società possono dimostrare al cliente che non ci sono state irregolarità, tutelandosi nel caso in cui ci fossero dei malintesi sulle consegne o sul lavoro svolto.  Cosa dice la normativa I vantaggi per le aziende nell’utilizzo del GPS per monitorare gli spostamenti dei dipendenti sono molti, ma è importante farlo rispettando le normative vigenti. A tal proposito, l’art. 41 della Costituzione italiana garantisce la libertà di iniziativa economica dei datori di lavoro, purché si rispetti la dignità umana. Pertanto, le aziende possono stabilire regole per l’uso del GPS, ma devono sempre tutelare la riservatezza e la dignità dei lavoratori. Lo Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300) e le modifiche successive del D. Lgs n.151/2015 specificano le condizioni per il rispetto dei dati personali. In particolare, il monitoraggio della localizzazione dei dipendenti è consentito se finalizzato a ottimizzare l’allocazione delle risorse, garantire la sicurezza dei lavoratori, soddisfare le esigenze aziendali e proteggere i beni aziendali. Inoltre, è obbligatorio informare i dipendenti sull’uso di tali strumenti per la gestione delle risorse. Dunque, l’uso di un software dedicato può facilitare i processi di

Cos’è lo smart working

Nel rapporto BES dell’Istat che analizza i principali fenomeni economici, sociali e ambientali dell’Italia, si rileva che oltre 2,8 milioni di lavoratori hanno fatto ricorso allo smart working, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 35-44 anni. Lo smart working è saltato agli onori della cronaca durante il periodo della pandemia da coronavirus, quando l’impossibilità di recarsi sul luogo di lavoro ha costretto molte aziende a rivoluzionare il proprio modo di lavorare e ad adottare nuove formule per consentire la prosecuzione delle attività. In questo articolo vedremo nel dettaglio cos’è lo smart working, quali sono le sue caratteristiche principali, il quadro normativo e quali vantaggi può apportare alle aziende e ai lavoratori. Cos’è lo smart working Lo smart working, che in italiano viene tradotto come “lavoro agile”, viene definita dal Ministero del Lavoro come “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”. Il lavoratore che è in smart working può svolgere le sue mansioni direttamente da casa o da qualsiasi altro luogo prescelto e negli orari che preferisce, rientrando sempre nel numero di ore previste dal proprio contratto lavorativo. Si tratta quindi di un cambiamento epocale, perché il lavoratore non ha l’obbligo di recarsi fisicamente presso la sede del lavoro e può organizzare la sua giornata in completa autonomia. Quando si parla di lavoro agile, bisogna sottolineare che il dipendente deve comunque raggiungere gli obiettivi o i risultati prefissati; quindi, non si tratta di un escamotage per lavorare di meno o rimanere a casa, ma solo di un sistema diverso per svolgere la propria professione. Lo smart working scardina il concetto tradizionale di lavoro dipendente che si basa sulla rigidità, sia di orari che di modalità di somministrazione, per introdurre un sistema più flessibile e indipendente. Durante la pandemia, si prediligeva che i lavoratori ove possibile lavorassero esclusivamente in smart working, ma al termine dell’emergenza si è optato per una modalità ibrida, che integra sia il vecchio lavoro in sede che quello da remoto. Sempre secondo i dati forniti dall’Istat, lo smart working è più diffuso tra le donne over 35 rispetto agli uomini della stessa fascia di età e riguarda soprattutto chi opera nel settore privato, rispetto ai professionisti impiegati nella pubblica amministrazione. Il settore dell’informatica, della comunicazione e della finanza sono quelli che impiegano di più lo smart working per i loro dipendenti, mentre si è registrato un calo nell’ambito dell’istruzione e dei servizi. Come funziona lo smart working Lo smart working, come abbiamo già sottolineato, non sostituisce il lavoro tradizionale ma lo amplia e lo integra, diventando un’opportunità per il dipendente e anche per il datore di lavoro. Pur non essendoci orari di lavoro fissi è sempre previsto che il lavoratore sia contattabile in alcune fasce orarie e che raggiunga i suoi obiettivi nei tempi prestabiliti. Per svolgere il lavoro agile è necessario utilizzare dei dispositivi digitali – computer, tablet e/o smartphone – che devono essere forniti dal datore di lavoro. Questa tipologia di lavoro prevede comunque dei doveri da parte del dipendente che possono riguardare gli obiettivi da raggiungere, il numero di ore settimanali e le responsabilità che derivano dal suo specifico incarico. Tutti i dipendenti che scelgono lo smart working invece del lavoro in sede hanno diritto alla medesima retribuzione, così come alle tutele in materia di salute e sicurezza prevista dalla normativa sul lavoro. Riferimenti normativi Spesso si pensa che il lavoro agile sia stato introdotto soltanto con l’arrivo dalla pandemia, ma in realtà si tratta di una modalità lavorativa già prevista nel 2017 con la legge n. 81 (articoli 18 -24) Con il mutare delle esigenze lavorative e la crescita dello smart working, le norme del 2017 sono state integrate e rinnovate con numerosi interventi legislativi, come il Decreto Ministeriale n. 149 del 22 agosto 2022 che precisa gli obblighi per il datore di lavoro (pubblico e privato) di comunicare sul portale Servizi Lavoro gli accordi previsti per lo smart working. Un altro passaggio fondamentale è il Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile del settore privato, stipulato tra le parti sociali e il Ministero del Lavoro per stabilire modalità di accesso, diritti e doveri dei lavoratori agili. Fino a poco tempo fa, i dipendenti pubblici e privati potevano richiedere lo smart working se sussistevano alcuni presupposti: essere lavoratori fragili o avere figli under 14, ma dal 1° aprile 2024 è necessario stipulare preventivamente un accordo scritto tra dipendente e datore di lavoro. I vantaggi dello smart working per lavoratori e imprese Nonostante lo smart working abbia (come è normale) perso un po’ di terreno negli ultimi due anni, sono ancora tantissimi i lavoratori che operano con questa modalità e che la preferiscono al lavoro in sede, quindi vediamo insieme quali sono i vantaggi del lavoro agile. I vantaggi più evidenti riguardano sicuramente i lavoratori perché con lo smart working hanno la possibilità di gestire al meglio gli impegni lavorativi e familiari, senza dover sottostare alla rigidità degli orari previsti dalle imprese. Per chi deve raggiungere il lavoro con i mezzi pubblici o in auto, lo smart working abbatte i tempi per raggiungere il luogo di lavoro e al contempo permette di risparmiare sui costi di abbonamenti, carburante, pedaggi e manutenzione dell’auto. Organizzare il lavoro in autonomia accresce la responsabilità del lavoratore, che lavora in modo più efficiente e in base alle sue attitudini e ai suoi ritmi di lavoro. Con l’autonomia e la flessibilità del lavoro agile, il dipendente può beneficiare di maggiore tempo libero (si pensi ai pendolari) e ridurre drasticamente lo stress mentale e fisico. Lo smart working è la soluzione ideale per i neogenitori, che possono districarsi tra impegni lavorativi e familiari, senza essere costretti a lasciare il proprio impiego. Lo smart working offre dei vantaggi anche per le aziende, difatti si riducono i costi delle sedi

Gestire la flotta aziendale con file Excel: perché non dovresti farlo

Una gestione efficiente della flotta aziendale è una delle cose più importanti per un’attività che fa ampio utilizzo di mezzi a quattro ruote. Acquisire e tenere aggiornati costantemente i dati relativi ad ogni veicolo è infatti imprescindibile per ridurre gli sprechi e mantenere in buona condizione i propri veicoli. Tuttavia, per gestire decine di mezzi molte realtà utilizzano ancora i cari vecchi fogli Excel, che, per quanto versatili non sono uno strumento ideale allo scopo. In questo articolo vediamo quali sono le principali problematiche della gestione della flotta aziendale con file Excel. Limiti di Excel come strumento per la gestione. Gestire i dati rappresentativi della tua flotta tramite file Excel è un metodo, ancora oggi, piuttosto usato in diversi contesti lavorativi. Il motivo è semplice: Excel è uno strumento estremamente versatile, capace di gestire operazioni complesse e di esporre i dati in modo intuitivo. Tuttavia, Excel non è uno strumento pensato per il monitoraggio della flotta aziendale. In primo luogo, richiede che da parte dell’azienda ci sia la capacità di creare dei fogli Excel per monitorare tutti gli aspetti relativi ad un dato veicolo: chilometri, spese, scadenze, e disponibilità. Capire come strutturare dei file Excel in modo che siano facili da compilare, riutilizzabili e mantenibili (cosa succede quando si aggiunge un nuovo veicolo o se ne toglie uno?) non è un compito banale. In secondo luogo, Excel richiede un effort collaborativo non scontato: i fogli devono essere condivisi, e i dati aggiornati costantemente a mano (operazione nettamente più facile da computer che da telefono). Ciò significa che chi utilizza il mezzo deve accedere continuamente per aggiornare i dati e inserirli in modo corretto, spesso nel bel mezzo dell’attività lavorativa (es. un commerciale in visita da un cliente con l’auto aziendale). Di conseguenza è facile che si verifichino i seguenti problemi: E di fatto “gestire” la flotta aziendale, monitorando i costi e programmando budget, sarà praticamente impossibile. La soluzione: optare per un software per la gestione della flotta aziendale La gestione della flotta aziendale per mezzo di Excel è ancora un metodo di lavoro molto diffuso ma a fronte delle problematiche che abbiamo delineato sono sempre di più le aziende che stanno cambiando e passando a dei software ad hoc per la gestione della flotta aziendale. I software di gestione degli automezzi moderni possono sembrare apparentemente più costosi ma in realtà offrono un notevole risparmio a lunga scadenza. Vediamo i principali vantaggi. Usabilità Il primo e più banale dei vantaggi di un software ad hoc per la flotta aziendale è che nasce per svolgere questa mansione. Invece che n-mila fogli di calcolo condivisi, ogni utente (con il suo ruolo specifico e le sue credenziali) accedendo si ritrova davanti ad un pannello intuitivo da navigare dal quale può andare direttamente alla funzionalità di suo interesse. Condividere, aggiornare e caricare i dati – anche da mobile tramite un’app per mobile – sarà molto più facile e immediato. Scalabilità Il secondo vantaggio fondamentale è che questo genere di software nasce per essere scalabile: togliere un veicolo, aggiungerne uno nuovo, rimuovere o aggiungere utenti sono operazioni che non richiedono di ripensare l’architettura di complessi file Excel tra loro collegati, ma solo pochi clic Maggiori funzionalità Un software dedicato al monitoraggio del parco autoveicoli di un’azienda permette inoltre di mettere a disposizione degli utenti funzionalità che un file Excel semplicemente non può prevedere. Dall’allerta via mail delle scadenze legate al mezzo (bollo, assicurazione, tagliandi, revisioni) alla possibilità di segnalare in tempo reale guasti o malfunzionamenti via app, la rosa delle funzionalità di un software ad hoc è enormemente maggiore. Automazione Con il modulo GPS è inoltre possibile raccogliere dati in tempo reale e sincronizzarli con il sistema: posizione del mezzo, chilometri percorsi, in modo che il guidatore debba utilizzare l’app per inserire dati il meno possibile. Una gestione della flotta aziendale precisa e puntuale In breve, poiché i software per la gestione della flotta aziendale come CP Flotte nascono con uno scopo ben preciso, tramite essi è possibile controllare ogni veicolo senza complicati e confusi fogli di calcolo di Excel. I dati saranno aggiornati costantemente grazie agli automatismi, e ciò che non sarà possibile monitorare in modo automatico (es. i pieni carburante), sarà reso semplice da registrare attraverso app e webapp facili da utilizzare. Le scadenze – assicurazione, revisione, bollo, tagliandi – saranno sempre sotto controllo attraverso opzioni di notifica via mail agli utenti responsabili, e tutti i dati (storici e in tempo reale) saranno disponibili in delle dashboard facili da configurare e leggere. Potrai davvero avere dei dati precisi sulla tua flotta aziendale, e la licenza del software si ripagherà da sola grazie alle ore di tempo risparmiato e al budgeting migliore che potrai fare sulla base dei dati a tua disposizione.

Reclutamento interno: che cos’è e quali sono i vantaggi

Il reclutamento interno è una grande opportunità in ambito aziendale perché consiste nel trasferire o promuovere verso nuovi ruoli i lavoratori già in organico. Una pratica abbastanza diffusa per valorizzare al meglio le competenze e le esperienze delle risorse umane presenti in azienda. Ma in cosa consiste e quali sono i vantaggi del reclutamento interno? Reclutamento interno: cos’è In concreto, il reclutamento interno consiste nella promozione ai posti da coprire di dipendenti già occupati in azienda. Il reclutamento di nuovo personale sul mercato del lavoro – per quanto necessario – rappresenta una pratica dispendiosa e non sempre produttiva per un’azienda: bisogna cercare il profilo giusto, selezionarlo tra una rosa di candidati e quindi procedere al suo inserimento. Selezionando dipendenti direttamente all’interno della struttura organizzativa, vale a dire lavoratori dei quali conosci bene competenze ed esperienze e con i quali è già ben avviato un rapporto di reciproca fiducia, il processo di selezione e inserimento è infinitamente più rapido. Reclutamento interno: principali vantaggi I benefici principali derivanti dalla pratica del reclutamento interno sono i seguenti: Vantaggi dunque a tutto tondo: per i dipendenti, per il clima aziendale e per l’azienda stessa. Reclutamento interno: come funziona Per un processo interno di reclutamento vincente sono necessarie alcune accortezze. Sebbene ciascun ambiente di lavoro sia diverso dall’altro, alcuni passaggi sono comuni per tutte le aziende: Reclutamento interno: minori tempi e risorse da investire Con una procedura di selezione interna hai la possibilità di abbattere i tempi di selezione saltando alcuni passaggi, come la richiesta della documentazione di rito e il controllo delle competenze di base del ruolo da ricoprire, trattandosi di persone già interne all’organizzazione. Soprattutto, utilizzando il reclutamento interno, diventa più facile ridurre i costi per la ricerca e selezione proprio di quelle posizioni per cui i costi sarebbero più alti. Molto banalmente, è più semplice promuovere qualcuno già presente in azienda ad un ruolo di maggiore responsabilità e colmare il ruolo lasciato vacante, che cercare ex-novo qualcuno con tutte le competenze necessarie che possa svolgere quel ruolo, ma solo dopo un lungo inserimento in azienda.  A parità di competenze, il reclutamento interno ti permette di avere un processo di selezione più rapido – perché ti trovi a scegliere tra persone che già conosci e di cui ti fidi – e soprattutto un inserimento nettamente più veloce in azienda, perché la persona sarà produttiva molto prima rispetto ad un nuovo inserimento. E idealmente, colmare il posto lasciato vuoto dalla persona promossa sarà più facile, perché sarà richiesta meno esperienza e competenze. Reclutamento interno: i software HR Per dare seguito alla procedura di reclutamento interno puoi affidarti a dei software HR come CP Job e CP Recruit sviluppati da Gruppo Centro Paghe, supporti pratici e funzionali per la corretta e veloce gestione delle risorse umane. Con l’uso di questi software puoi:

Gruppo Centro Paghe, Siges e Rand Solutions: nasce nuova sinergia IT all’avanguardia.

Milano, 29 aprile 2024 – Gruppo Centro Paghe, azienda leader nello sviluppo di soluzioni software per aziende e risorse umane, e Gruppo Siges, leader nel settore delle soluzioni tecnologiche innovative per il mercato turistico, sanitario e delle risorse umane, hanno acquisito una quota significativa di Rand Solutions, realtà piemontese specializzata nello sviluppo di software avanzati, nelle soluzioni di monitoring e nella consulenza IT. Gruppo Centro Paghe e Gruppo Siges, acquisendo parte di Rand Solutions, espandono le proprie capacità di offrire ai propri clienti soluzioni IT all’avanguardia in qualsiasi settore. Nelle parole di Marco Gandola, CEO di Gruppo Siges: “Siamo entusiasti di accogliere Rand Solutions nella famiglia Gruppo Siges e del Gruppo Centro Paghe. Questa acquisizione rafforza la nostra posizione nel settore e ci consente di continuare a innovare e a fornire soluzioni di alta qualità ai nostri clienti.” La nuova sinergia tra Gruppo Centro Paghe, Gruppo Siges e Rand Solutions consentirà di rafforzare i rispettivi know-how in campo IT portando a soluzioni software ancora più complete ed efficienti per tutti i clienti.

Employer branding che cos’è

Trovare nuovi talenti che siano pronti a essere assunti o che abbiano le competenze giuste è davvero diventato un problema per molte aziende. Proprio per questo le più lungimiranti stanno ricorrendo sempre più all’employer branding, una strategia per attirare i lavoratori e ridurre i costi di ricerca e selezione. Vediamo di che cosa si tratta. Che cos’è l’employer branding L’employer branding raggruppa tutte le tattiche che un’azienda può adottare per migliorare la visibilità e la reputazione e attirare nuovi talenti. La locuzione “employer branding” è stata introdotta nei primi anni Novanta e indica la reputazione che un’azienda è in grado di costruirsi come datore di lavoro. Se un tempo le strategie per affermarsi come buon datore di lavoro erano confinate al passaparola o alla pubblicità cartacea, con l’avvento del digitale si sono moltiplicati gli strumenti per accrescere la visibilità e la reputazione e con ciò attirare nuovi talenti. Vi sono due tipi di employer branding: Presentarsi come un buon datore di lavoro ha il pregio di attrarre nuovi lavoratori e al contempo di fidelizzare chi già si trova all’interno dell’azienda. Ma attenzione: quando si implementa una strategia di employer branding non bisogna solo fare promesse; bisogna attuare davvero quello che i futuri dipendenti si aspettano dalla tua attività. Employee value proposition: la proposta di valore della tua azienda Prima di adottare qualsiasi tipo di strategia di employer branding per distinguersi dagli altri competitor è opportuno stabilire in anticipo l’employee value proposition. Definire un’employee value proposition significa stabilire cosa offre l’azienda ai futuri candidati in cambio delle loro abilità e competenze. È l’insieme di fattori che dovrebbero spingere un lavoratore a desiderare di lavorare per noi, piuttosto che per la concorrenza. Il welfare aziendale rappresenta sicuramente una carta da giocare in questo senso. Ad esempio, nella proposta di valore si potrà stabilire un benefit per chi è disposto alle trasferte di lavoro, voucher per baby-sitter, buoni pasto, buoni acquisto, telefoni e computer aziendali, e via dicendo. L’employee value proposition è quindi il primo passo e solo quando sarà completa e chiara, si potranno realizzare tutte quelle strategie che mirano al miglioramento della visibilità e della reputazione del datore di lavoro. La comunicazione multicanale Il secondo step per pianificare la tua strategia di employer branding esterna è più lunga e complessa e si focalizza sulla comunicazione, utilizzando diversi strumenti e canali. Per le multinazionali più conosciute e apprezzate è sicuramente più semplice attrarre nuovi candidati, ma se sei il titolare di una piccola impresa e non riesci a trovare dei dipendenti devi assolutamente farti conoscere e quale migliore strumento se non il web? Per aumentare la tua visibilità puoi iniziare da una campagna di comunicazione capillare che si concentri su: Tutti i canali di comunicazione che ti abbiamo sopraelencato svolgono una duplice funzione: permetterti di aumentare la tua visibilità e al contempo accrescere la tua reputazione. Se pianifichi una buona strategia comunicativa, l’esito sarà sicuramente positivo in termini di attrazione di nuovi talenti, ma avrà anche ottimi sviluppi positivi sul tuo brand, come l’aumento dei clienti o la maggiore affidabilità per gli eventuali investitori. Quando parliamo di creare una strategia di comunicazione non ci riferiamo soltanto alla presenza sui siti web come Facebook, Linkedin, Indeed, Instagram, ecc., ma alla realizzazione di contenuti ad hoc che promuovono la tua employee value proposition. Ad esempio, su Linkedin vi è la possibilità di creare una vera e propria vetrina della tua attività dando spazio nel piano editoriale alle esperienze dei dipendenti. Sui più importanti siti di recruiting, le imprese possono creare delle pagine per attirare potenziali candidati, descrivendo nel dettaglio l’ambiente di lavoro, le possibilità di crescita, i benefit, le retribuzioni, la formazione e tutti gli altri aspetti che possono renderla appetibile e interessante. Eventi dal vivo e career day Per massimizzare i risultati della tua strategia di employer branding non devi usare esclusivamente il web, ma utilizzare anche i canali tradizionali che ti permettono di promuoverti come datore di lavoro e di conoscere dal vivo i potenziali candidati. Per attrarre nuovi candidati ti consigliamo di partecipare agli eventi di recruiting come i career day, dove potrai presentare il tuo business e incontrare i candidati per dei colloqui conoscitivi. Quando organizzi degli eventi o partecipi ai career day è importante che tu ti faccia accompagnare dai tuoi dipendenti, che sono il biglietto da visita migliore per la tua attività e che possono entrare subito in sintonia con i potenziali candidati. Le strategie che ti abbiamo indicato sono efficaci soprattutto per l’employer branding esterno, mentre per quello interno devi dimostrare di essere davvero un buon datore di lavoro, garantendo standard lavorativi elevati, sicurezza, stabilità e anche retribuzioni o benefit in linea con le capacità di ogni dipendente. A tutto il resto ci penserà il passaparola! I vantaggi dell’employer branding Ora che abbiamo visto come si può pianificare e realizzare una strategia di employer branding, vediamo quali sono i vantaggi che può portarti: Naturalmente, è fondamentale disporre di strumenti adatti per erogare ai dipendenti i benefit che gli stiamo promettendo e per gestire il pool di candidati alle posizioni lavorative. Servono dunque strumenti come piattaforme di welfare aziendale e software per la selezione del personale per gestire nel modo giusto i risvolti pratici. Creare una strategia di employer branding efficace può essere davvero difficile, ma nel lungo termine gioca un ruolo determinante nella sostenibilità della tua azienda.

Come funziona il congedo parentale?

Il congedo parentale è un periodo di astensione facoltativa dal lavoro concesso ai genitori per prendersi cura dei figli piccoli. Si tratta di una misura pensata per conciliare vita lavorativa e familiare, permettendo di dedicare tempo ed attenzioni alla crescita dei bambini nelle fasi iniziali senza contare che si riduce notevolmente lo stress e l’ansia dei neogenitori, fattori spesso collegati a un calo del rendimento professionale. In poche parole, il congedo parentale offre un sostegno fondamentale per bilanciare gli impegni genitoriali con quelli professionali. Quadro normativo di riferimento L’istituto del congedo parentale affonda le sue radici nella Legge 53/2000, poi integrata e ridefinita da altre disposizioni come il Testo Unico 151/2001 e i vari aggiornamenti apportati negli ultimi anni, tra cui spiccano la Riforma Fornero e il Decreto Legislativo 105/2022 che ne hanno ampliato diritti e tutele. Prima di tutto è da evidenziare come gli assi portanti del congedo siano stati preservati nel tempo: accessibilità per ogni figlio a prescindere dal loro numero, estensione anche ai padri lavoratori con mogli casalinghe o non coperte da tutela previdenziale, focus sull’importanza di un work-life balance a misura di famiglia. Destinatari e requisiti Lavoratori dipendenti Il congedo parentale spetta ai lavoratori dipendenti, sia a tempo determinato che indeterminato, purché vi sia un rapporto di lavoro attivo al momento della richiesta. La durata complessiva è di 9 mesi fra entrambi i genitori, di cui 3 mesi intrasferibili per ciascun genitore più ulteriori 3 mesi frazionabili tra madre e padre. L’indennità prevista è pari all’80% della retribuzione media giornaliera per 2 mesi (uno per genitore, non trasferibile) fino ai 6 anni di età del bambino e scende poi al 30% fino ai 12 anni. Lavoratori autonomi Anche i lavoratori autonomi hanno diritto al congedo parentale, ragion per cui risulta fondamentale informarsi per tempo sulle modalità di fruizione. È necessario astenersi effettivamente dal lavoro e dimostrare il versamento dei contributi Inps almeno per il mese precedente la richiesta. L’indennità ammonta al 30% della retribuzione convenzionale stabilita ogni anno dall’Inps in base alla categoria professionale. Modalità e tempistiche Durata Il congedo parentale può essere richiesto entro i 12 anni di vita del bambino. La durata complessiva è di 10 mesi conteggiando entrambi i genitori, estendibile a 11 mesi qualora il padre ne fruisca per almeno 3 mesi (anche in modo frazionato). Dal 2023, come accennato in precedenza, il limite massimo indennizzabile sale a 9 mesi contando sia i 3 mesi intrasferibili per ciascun genitore che i 3 mesi frazionabili fra entrambi. Frazionabilità Uno dei vantaggi del congedo parentale è l’elevata flessibilità. È possibile frazionare il periodo in giorni e ore. Le giornate di congedo vanno poi sommate al raggiungimento del limite convenzionale di 30 giorni. Superato il mese, si calcolano poi i mesi interi di congedo e i giorni residui. Questa modularità consente di venire incontro alle diverse necessità lavorative e familiari che possono emergere. Congedo parentale e altri istituti a confronto Differenze con maternità e paternità Mentre congedo parentale e paternità hanno natura facoltativa, il congedo di maternità è obbligatorio. Quest’ultimo garantisce 5 mesi complessivi di astensione fra gravidanza e post-parto, di cui 2 mesi precedenti la data presunta del parto e 3 successivi. L’indennità è pari all’80% della retribuzione, integrata al 100% da alcuni contratti collettivi. Il congedo di paternità obbligatorio ammonta invece a 10 giorni con retribuzione piena al 100%, con l’obiettivo di coinvolgere il padre fin dalle prime fasi di vita del neonato. Differenze con i permessi retribuiti I permessi retribuiti a ore previsti dalla Legge 53/2000 (Riposi giornalieri e congedi malattia per bambino) sono utilizzabili solo fino al primo anno di vita del bambino e non prevedono un’indennità economica ma la normale retribuzione. Si differenziano dunque per durata e natura del compenso. Senza contare che il congedo parentale consente periodi di assenza più lunghi e programmabili. Come richiedere il congedo Modulistica e documentazione necessaria La richiesta può essere inoltrata tramite il portale web dell’Inps, rivolgendosi a patronati o intermediari abilitati oppure chiamando il contact center dell’Istituto. Serviranno dati anagrafici propri e del figlio, oltre alla documentazione relativa al rapporto di lavoro attivo e al versamento dei contributi se lavoratori autonomi. Prima di tutto è fondamentale informare per iscritto il datore di lavoro della durata e modalità di fruizione scelte. La domanda va inviata prima dell’inizio del periodo di congedo richiesto. In caso di presentazione tardiva, l’indennità non verrà corrisposta per i giorni precedenti la data della richiesta ma solo a partire dal giorno di invio della stessa. Meglio dunque muoversi con un certo anticipo comunicando per tempo le proprie intenzioni al datore di lavoro. Gestione del congedo in azienda Impatti organizzativi La fruizione del congedo parentale può comportare un certo impatto organizzativo in azienda legato alla temporanea assenza di personale. Diventa quindi importante pianificare attentamente turni e attività, distribuendo diversamente i carichi di lavoro e valutando soluzioni quali straordinari, nuove assunzioni a termine o rimodulazione dei flussi produttivi. Buone pratiche di gestione delle risorse umane prevedono una programmazione tempestiva insieme al lavoratore, così da ridurre al minimo eventuali ricadute operative. Comunicazione con il lavoratore La chiave per gestire senza intoppi il congedo parentale risiede nel dialogo e nella collaborazione con il dipendente/collaboratore interessato. Ricevuta la comunicazione della volontà di avvalersi del diritto, il datore di lavoro è tenuto ad informare circa le modalità di fruizione e i limiti temporali previsti. Così come è fondamentale supportare il neogenitore sia prima che dopo il periodo di congedo, ad esempio garantendo una ripresa graduale dell’attività lavorativa senza eccessivi stress. Prospettive future Negli ultimi anni le politiche a favore della genitorialità e della conciliazione famiglia-lavoro hanno conosciuto una felice evoluzione. Il progressivo allungamento della durata dei congedi e l’aumento delle relative indennità economiche confermano l’impegno del legislatore verso una società più inclusiva, che non costringa a dolorose scelte fra carriera e maternità/paternità. Ci sono buoni motivi per ritenere che questo trend positivo non si esaurirà a breve ma anzi proseguirà con nuovi interventi volti a rafforzare i diritti di mamme e papà lavoratori. Ed è